Ho letto per la quarta volta il Grande Romanzo. Mia madre nutre per
quest'opera una vera ossessione, per questo a casa nostra a Roma ne
conserviamo una decina di edizioni e altrettanti testi critici.
Forse non si può più parlare di questo libro, in ogni caso vorrei scrivere due osservazioni.
La prima è questa: nel film "Il portaborse" di Daniele Lucchetti, Silvio
Orlando interpreta un professore di letteratura di un liceo e liquida Manzoni dicendo:
"mentre lui per cinquant'anni scrive e riscrive I promessi sposi, Balzac infila uno dopo l'altro dieci capolavori, Melville scrive l'immenso Moby Dick e Dostoevskij... Be', Dostoevskij scrive: L'idiota, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov"
Non sono d'accordo: ci sono alcuni artisti che si riconoscono nella
grandezza di una sola opera, come Manzoni, Cervantes, Dante e altri la
cui grandezza risiede nell'insieme della produzione, come Shakespeare.
Da questa caratteristica non può dipendere un giudizio di merito.
I promessi sposi è prima d'ogni cosa un romanzo d'avventura,
pieno di colpi di scena che non lasciano un attimo di tregua fino alla
fine. La storia inizia con due sgherri che minacciano di morte un prete.
E il prete non è affatto un personaggio positivo. Piuttosto forte, no?
L'incipit del romanzo, così celebre, non è affatto banale: un altro
avrebbe detto "C'è un ramo sul lago di Como,..."; ma iniziare con "Quel
ramo" come se lo conoscessimo, è come se la narrazione venisse da prima e
noi ci buttassimo nel flusso come ci si butta in un fiume o come si
sale su un treno in corsa. Un altro mito che forse è il caso di sfatare è
che questo sia un libro bigotto: preti codardi, monache maliziose,
baciapile di ogni genere, vengono bastonati senza riguardi. I personaggi
sono irrequieti e straordinariamente dignitosi.
L'ironia di Manzoni pervade ogni pagina e poi il finale è una specie di
crescendo verdiano, una galoppata. E soprattutto c'è il tema della
lingua: questo romanzo è scritto in un italiano così consapevole e
attento che è di una bellezza commovente. Probabilmente sono pochi gli
italiani che lo vorrebbero rileggere dopo averlo studiato a scuola, ma
se fossi uno straniero correrei a comprarlo (possibilmente un'edizione
con poche note, se esiste).
La seconda osservazione è piuttosto l'espressione di un dubbio: questo libro è logoro, è
stato straziato dai commentaristi e dalle edizioni scolastiche; frasi
come "la vera protagonista è la Divina Provvidenza" sono diventate insopportabili; tutti lo abbiamo pasticciato a scuola e sappiamo cosa
aspettarci dalla storia, dai personaggi, dall'autore. La lettura ne
risulta irrimediabilmente compromessa, siamo di fronte a un libro
inerte. La mia domanda è questa: non si potrebbe sostituire nei
programmi scolastici questo libro con un altro? Il gattopardo, Le memorie di un italiano,
a rotazione; in questo modo da qui a dieci anni si potrebbe recuperare
il piacere di leggere I Promessi sposi senza un'opinione pregressa e lo
si riporterebbe in vita. Oppure il destino del romanzo fondativo è
proprio quello di venire sacrificato sull'altare della cultura comune di
un popolo: nessuno può più godere della sua bellezza, ma tutti si
possono riconoscere in questa conoscenza comune.
Io non sono in grado di rispondere a questa domanda. Ai posteri / l'ardua sentenza.