L'ultimo romanzo pubblicato in vita da Bolaño. In Italia per l'editore Sellerio col titolo "Un romanzetto canaglia". L'aggettivo lumpen fa rieferimento al termine tedesco lumpenproletariat utilizzato da Marx per riferirsi al sottoproletariato. Un altra traduzione del titolo avrebbe potuto essere "Una storiella reietta".
La storia si svolge a Roma, una Roma impalpabile, appena accennata e del tutto prescindibile (anche se non nascondo che mi ha fatto molto piacere questa scelta). Solo un centinaio di pagine, poco più di un racconto lungo per una trama fin troppo semplice, soprattutto se paragonata alla complessità degli intrecci degli suoi romanzi precedenti. Questa semplicità, credo, risponde a una precisa necessità. Bolaño -sul punto di morire- dedica questo romanzo ai suoi due figli e sembra volergli raccontare una favola e in effetti si ritrovano nel testo tutti gli elementi della favola tradizionale, anche se stravolti dalla lente dell'autore. Due ragazzini, due fratelli, come Hansel e Grethel, come i figli di Bolaño; l'abbandono dei genitori (morti in un incidente stradale); due personaggi intercambiabili -il Gatto e la Volpe- sensuali e disgustosi; un orco, uno di quei personaggi eccezionali di Bolaño, che ti fanno chiedere se siano realmente esistiti. Il lieto fine spostato alla prima riga del romanzo. Un libro molto personale, forse un commiato.
In exergo questa citazione di Artaud: "Ogni scrittura è una porcata. Chi esce dal nulla cercando di precisare qualsiasi cosa gli passi per la testa, è un porco. Chiunque si occupi di letteratura è un porco, soprattutto adesso"
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