Ogni tanto capita di entrare in libreria e trovare interi scaffali (generalmente all'entrata e ben in vista) pieni di libri di un autore che non ci dice niente ma il cui nome campeggia in mezzo a quelle copertine e ci guarda quasi stupito del fatto che non lo conosciamo...insomma a me capita e puntualmente ci casco. Ultimamente le librerie (almeno quelle italiane) traboccano di libri di Irène Némirovsky, nell'elegante edizione della
Piccola Biblioteca Adelphi.
Ne prendo uno a caso, Il malinteso. Il laconico risvolto di copertina dice che è un romanzo di esordio e dell'autrice pubblica semplicemente anno e luogo di nascita e di morte: Kiev 1903 - Auschwitz 1945, un epitaffio piú che semplice ma carico di significati.
Il libro è stato scritto quando l'autrice aveva 23 anni ed in parte si rifà ad esperienze autobiografiche. Il tono e la scrittura sono tipici dei romanzetti d'appendice, né l'argomento se ne allontana: la storia d'amore (amore?) fra una parigina capricciosa dell'alta società e il suo amante, un "nuovo povero" vittima del crollo economico generato dal primo conflitto mondiale. Alcuni temi sono eterni e la fotografia della società del tempo è nitida, tuttavia questo libro va giudicato per quello che è: un romanzo d'esordio.
Nelle ultime pagine una nota di Olivier Philipponnat, biografo dell'autrice, che fa un riassunto meticoloso del romanzo (che non so a cosa serva, visto che si suppone che lo abbiamo appena finito di leggere) e poi si affanna a fare di questo libro un capolavoro, caricandolo di grandi responsabilità e utilizzando espressioni come "studio sentimentale in trompe-l'oeil"...
Credo che i libri non debbano essere necessariamente delle opere d'arte, possono anche limitarsi ad essere semplicemente piacevoli. Come questo.