martedì 29 novembre 2011

La banalità del male - Hannah Arendt

Nel 1960 Otto Adolf Eichmann, ex-ufficiale nazista, viene catturato a Buenos Aires e trasportato a Gerusalemme per comparire davanti al tribunale distrettuale dove è accusato di crimini contro il popolo ebraico. La saggista Hanna Arendt, ebrea tedesca emigrata negli Stati Uniti, allieva di Jaspers e Heidegger (col quale si riconcilia dopo la guerra) viene inviata dalla rivista The New Yorker a seguire il processo. Questo libro, pubblicato nel 1964, è il resoconto di quel processo.

La questione è delicatissima per molte ragioni: innanzi tutto Eichmann viene letteralmente  sequestrato dalle autorità israeliane in territorio argentino contravvenendo al diritto internazionale (una vicenda che stabilisce un drammatico precedente e che fa pensare al sequestro in Italia di Abu Omar); l'imputato viene giudicato da un tribunale israeliano che non avrebbe nessuna autorità su un cittadino tedesco (anche se la Germania non chiese mai l'estradizione di Eichmann); il principale capo d'accusa è di aver commesso "crimini contro il popolo ebraico", fatto questo che dà il via a delle penose distinzioni fra vittime, come per esempio se contare o meno la strage di migliaia di bambini polacchi non ebrei. Poi c'è la corte, alla ricerca di una Norimberga israeliana, impegnata nell'attribuire all'imputato delle responsabilità che non ha, con lo scopo di condannare attraverso di lui l'olocausto nazista. Infine la condanna a morte annunciata.

La Arendt è brava a muoversi su un terreno scivolosissimo e lucidissima nel cogliere i paradossi di questo processo: Eichmann non è il demonio, come la corte e il pubblico ministero cercano di dimostrare, ma un mediocre, banale come il più terribile dei mali. Poi c'è il conteggio nauseabondo dei morti, la dichiarazione di innocenza di Eichmann, il suo compiacimento per questa ribalta inattesa, l'incarico di "esperto della questione ebraica" con il macabro significato che questa nomina poteva avere sotto il nazismo. Il tutto raccontato con una chiarezza disarmante che rende queste 200 pagine faticose oltre che dolorose.


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