martedì 29 marzo 2011

Prosas apátridas - Julio Ramón Ribeyro

Prose apolidi perché non classificabili in nessun genere letterario. 
Una raccolta di appunti o un diario, ma piú curato. Ramón Ribeyro raccoglie qui quegli scritti che non hanno trovato posto nei suoi racconti. Si potrebbero considerare citazioni di romanzi mai scritti. 
200 frammenti numerati, sugli argomenti piú disparati; qualcuno di un'insospettata bellezza.

"Oh, i libri, sanno tanto e sono cosí silenziosi! Quando la notte percorro con lo sguardo i ripiani della mia biblioteca e li vedo allineati, taciturni, dietro i vetri scorrevoli, mi dico: Come gridano inascoltati perché qualcuno li interroghi! Io sono il Quijote, sembra dire uno, sono rilegato in pelle di vacca! Io sono Balzac e ho scritto la miglior commedia umana! Io sono Shakespeare, in edizione bilingue, e posso offrirti quello che vuoi! E rimango impietrito davanti a queste preghiere. Domani, gli dico, domani mi occuperó di voi, restate lí tranquilli. Domani.
Poveri libri! Poveri geni!"


giovedì 24 marzo 2011

La invención de Morel - Adolfo Bioy Casares

Certe volte leggi un libro e ti accorgi di essere in presenza della Letteratura pura. Questa è una di quelle.
Un libro sorprendente (in italiano lo pubblica Bompiani), un'atmosfera spettrale come in Turn of the screw; un paesaggio popolato di apparizioni come in Pedro Paramo; ma Bioy Casares si spinge molto oltre.
È preferibile l'immortalità dell'anima o del corpo?

La prefazione - non puó essere altrimenti - è di Borges che introduce il romanzo con queste parole: "Penso che non sia un'inesattezza o un'iperbole definirlo perfetto".

PS. questo libro ha in parte ispirato la serie tv Lost. 
PPS  ho controllato, Pedro Paramo è successivo a La invención de Morel, quindi l'influenza - se c'è - è del secondo sul primo. Tant'è.


mercoledì 23 marzo 2011

Los sinsabores del verdadero policía - Roberto Bolaño

È un libro non finito, quasi un romanzo. Pubblicato quest'anno de Anagrama, è il frutto di un progetto che Bolaño ha portato avanti per quindici anni, del quale l'unica cosa certa è il titolo (in italiano: i dispiaceri del vero poliziotto), scelto dall'autore fin dall'inizio. Molto del contenuto di queste pagine finirà in 2666, i personaggi quasi tutti, qualcuno tale e quale, altri profondamente cambiati: Arcimboldi, che in 2666 è un tedesco di 2 metri, qui è un nanerottolo. Per giunta francese.

Il poliziotto cui allude il titolo è il lettore "che cerca invano di mettere ordine in questo romanzo indemoniato"(Roberto Bolaño)

Non si tratta di un'operazione commerciale, o per lo meno non solo. Non si sta raschiando il fondo del barile sull'onda del successo commerciale. Sono pagine di altissimo livello, all'altezza della migliore produzione di Bolaño, sono curate e limpide.

Ogni riga lasciata de Bolaño è un regalo.


venerdì 18 marzo 2011

I miserabili - Victor Hugo

"Il romanzo I miserabili apparve nelle librerie di parigi il 3 aprile 1862 al prezzo di  12 franchi. Nel pomeriggio dello stesso giorno ne erano già state vendute piú di 3500 copie". Il dato dà l'idea della portata di questo romanzo. È come l'uscita nelle sale di Via col vento, è l'evento. La gente lo sa e fa la fila per leggere le storie di Parigi , le proprie storie. L'autore ne è cosciente, fin da bambino si ripropone di essere il grande scrittore: "Chateubriand o niente!" scrive a 14 anni. Nel libro c'è tutto: la Francia, la Storia (quella con la "S" maiuscola), l'arte, scrittori eccellenti e scribacchini, personaggi di un sottobosco parigino che certamente all'epoca erano noti a tutti, e poi preti e suore, ladri, truffatori, viveurs, nobili e borghesi, imprenditori, prostitute, rivoluzionari e ribelli. Carrozze, cavalli, ventri d'elefante, topi, intrighi, passaggi segreti, congiure, poliziotti e gendarmi. E ancora: lettere perdute, eredità ritrovate, incontri casuali e ricerche spasmodiche. E poi fughe: il libro si potrebbe intitolare "l'arte della fuga"!, Tuttavia si chiama "i Miserabili", perché Hugo non nega quest'appellativo a nessuno dei suoi personaggi: Jean Valjan è miserabile, ma lo sono anche i monelli (Gavroche è il monumento ai miserabili!), lo è Cosette quando è ridotta in catene e una volta liberata lo è per le pene d'amore; è miserabile il terribile ispettore Javert e lo è Thérnadier l'infame. La parola si ripete migliaia di volte nel corso della storia, declinata in tutte le sue possibili varianti. Per ogni personaggio una vita, una descrizione minuziosa, un lavoro di bisturi e di lente d'ingrandimento. Il risultato è quello delle grandi tele di Veronese. Così viene presentata la perfida signora Thenardier: 


"Tutto tremava al suono della sua voce, i vetri, i mobili e la gente. Il suo viso largo, crivellato di lentiggini, aveva l'aspetto di un colabrodo. Aveva un po' di barba. Era un facchino dei mercati generali vestito da donna. Bestemmiava splendidamente; si vantava di spaccare una noce con un pugno. Senza i romanzi che aveva letto a nessuno sarebbe mai venuto in mente di dire di lei: È una donna. Questa Thénardier era come il prodotto dell'innesto di una donna di facili costumi su una pescivendola. Quando la si sentiva parlare, si diceva: È un gendarme; quando la si guardava bere, si deceva: È un carrettiere; quando la vedeva maneggiare Cosette, si diceva: È il boia.
In riposo, le usciva di bocca un dente".

Hugo si prende tutto il tempo del mondo per delle lunghe digressioni (verso pagina 1300, quando già si intravvede la fine, incomincia una riflessione interminabile sul sistema fognario parigino che mette alla prova i nervi del lettore) fra le quali la più memorabile è quella su Waterloo nel quale emerge un'estetica della guerra che mi fa pensare a Stanley Kubric
Finalmente capisco come si concilia lo spirito della rivoluzione francese con l'imperialismo napoleonico.
L'influenza di Beccaria è dichiarata. Quella di Manzoni immaginabile.


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Questo libro è il canone del romanzo ottocentesco. Mi chiedo se a distanza di due secoli abbia ancora senso una letteratura basata esclusivamente sulla trama. A Hugo perdoniamo facilmente le coincidenze inverosimili, il moralismo, come perdoniamo l'ingenuità dei film dell'epoca d'oro di Holliwood, ma una letteratura che continua a ripetere gli stessi canoni (a volte senza neanche saperlo) è una condanna. È come guardare una foto della Gioconda. É il mito della caverna. Ha senso scrivere storie dopo "Ulisse"? E dopo Kafka?


mercoledì 2 marzo 2011

Caino - José Saramago

Devo premettere che non sono un devoto del Nobel portoghese e non tutto quel che ho letto mi è piaciuto. Tuttavia ero piuttosto eccitato all'idea di leggere Caino perché speravo di tornare a provare la stessa emozine che mi ha dato Il vangelo secondo Gesù Cristo, un libro che ritengo grandioso. Aspettative disilluse: questo libro mi è sembrato fiacco. Questo non toglie nulla al mio giudizio su Saramago - che possiede una tecnica letteraria (innata!) stupefacente, che è in grado di scrivere delle pagine folgoranti (la descrizione del cimitero infinito in Tutti i nomi sembra uscita dalla penna di Borges - ma certo neanche aggiunge molto.


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