venerdì 22 giugno 2012

I promessi sposi - Alessandro Manzoni


Ho letto per la quarta volta il Grande Romanzo. Mia madre nutre per quest'opera una vera ossessione, per questo a casa nostra a Roma ne conserviamo una decina di edizioni e altrettanti testi critici. 
Forse non si può più parlare di questo libro, in ogni caso vorrei scrivere due osservazioni.


La prima è questa: nel film "Il portaborse" di Daniele Lucchetti, Silvio Orlando interpreta un professore di letteratura di un liceo e liquida Manzoni dicendo: 
"mentre lui per cinquant'anni scrive e riscrive I promessi sposi, Balzac infila uno dopo l'altro dieci capolavori, Melville scrive l'immenso Moby Dick e Dostoevskij... Be', Dostoevskij scrive: L'idiota, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov"



Non sono d'accordo: ci sono alcuni artisti che si riconoscono nella grandezza di una sola opera, come Manzoni, Cervantes, Dante e altri la cui grandezza risiede nell'insieme della produzione, come Shakespeare. Da questa caratteristica non può dipendere un giudizio di merito.
I promessi sposi è prima d'ogni cosa un romanzo d'avventura, pieno di colpi di scena che non lasciano un attimo di tregua fino alla fine. La storia inizia con due sgherri che minacciano di morte un prete. E il prete non è affatto un personaggio positivo. Piuttosto forte, no? L'incipit del romanzo, così celebre, non è affatto banale: un altro avrebbe detto "C'è un ramo sul lago di Como,..."; ma iniziare con "Quel ramo" come se lo conoscessimo, è come se la narrazione venisse da prima e noi ci buttassimo nel flusso come ci  si butta in un fiume o come si sale su un treno in corsa. Un altro mito che forse è il caso di sfatare è che questo sia un libro bigotto: preti codardi, monache maliziose, baciapile di ogni genere, vengono bastonati senza riguardi. I personaggi sono irrequieti e straordinariamente dignitosi. L'ironia di Manzoni pervade ogni pagina e poi il finale è una specie di crescendo verdiano, una galoppata. E soprattutto c'è il tema della lingua: questo romanzo è scritto in un italiano così consapevole e attento che è di una bellezza commovente. Probabilmente sono pochi gli italiani che lo vorrebbero rileggere dopo averlo studiato a scuola, ma se fossi uno straniero correrei a comprarlo (possibilmente un'edizione con poche note, se esiste).



La seconda osservazione è piuttosto l'espressione di un dubbio: questo libro è logoro, è stato straziato dai commentaristi e dalle edizioni scolastiche; frasi come "la vera protagonista è la Divina Provvidenza"  sono diventate insopportabili; tutti lo abbiamo pasticciato a scuola e sappiamo cosa aspettarci dalla storia, dai personaggi, dall'autore. La lettura ne risulta irrimediabilmente compromessa, siamo di fronte a un libro inerte. La mia domanda è questa: non si potrebbe sostituire nei programmi scolastici questo libro con un altro? Il gattopardo, Le memorie di un italiano, a rotazione; in questo modo da qui a dieci anni si potrebbe recuperare il piacere di leggere I Promessi sposi senza un'opinione pregressa e lo si riporterebbe in vita. Oppure il destino del romanzo fondativo è proprio quello di venire sacrificato sull'altare della cultura comune di un popolo: nessuno può più godere della sua bellezza, ma tutti si possono riconoscere in questa conoscenza comune.
Io non sono in grado di rispondere a questa domanda. Ai posteri / l'ardua sentenza.


lunedì 11 giugno 2012

Giorgione l'inafferabile - André Chastel


Giorgione l'insaississable (in Italia per Abscondita) raccoglie tre saggi del celebre storico dell'arte André Chastel su una delle figure piú misteriose e affascinanti della pittura. Di Giorgione si sa che era bello, che suonasse il liuto, che dipinse per non piú di dieci anni, che formava parte di un circolo di intellettuali sopraffini. Poco altro. In questo libretto, più che della sua pittura, si vuole parlare dell'origine del suo mito.


venerdì 8 giugno 2012

Omaggio alla Catalogna - George Orwell

Nonostante io viva in Catalogna già da diversi anni, ho scoperto questo libro guardando un vecchio programma della Rai con Fruttero e Lucentini. Paradossalmente questo libro non è molto conosciuto nella regione a cui  è dedicato.

George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, inglese di origine indiane, all'età di 33 anni, con 5 libri già pubblicati alle spalle e qualche articolo piazzato su Le monde, decide di recarsi in Spagna per partecipare alla guerra civile, scrivere qualche articolo da vendere ai giornali inglesi e combattere il fascismo. Questa, in breve, la storia. Ma il valore reale di questo diario di guerra è la mancanza di retorica nel descrivere le vicende. Le condizioni precarie dei miliziani, la mancanza di qualsiasi addestramento militare, gli armamenti scarsi e anacronistici, vengono raccontati con un'attenzione che diventa spesso comica. Oltre a ciò illustra da un punto di vista privilegiato la guerra interna (gurra vera) fra le diverse fazioni antifasciste: una selva di sigle, organizzazioni, gruppi, in cui è impossibile orientarsi e a cui l'autore dedica un'appendice alla fine del libro.
La lucidità delle riflessioni di Orwell è sorprendente soprattutto se si considera che il libro venne pubblicato nel 1938, prima della fine della guerra civile spagnola, prima della Seconda Guerra Mondiale, prima della rivoluzione cubana, prima della guerra fredda,...

Un governo che manda al fronte dei quindicenni, con fucili vecchi di quarant'anni, e tiene in retrovia gli uomini piú robusti e le armi piú nuove, ha evidentemente piú paura della rivoluzione che dei fascisti. Ecco il perché della fiacca politica bellica degli ultimi sei mesi e del compromesso con cui quasi certamente la guerra avrà fine.

È di questi giorni la notizia dell'ascesa politica del partito neonazista greco. Io ho l'età di Orwell quando partì per la Spagna: se tentassero un colpo di stato sarei disposto ad andare a giocarmi la vita per difendere un ideale?


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